di Peppino Ortoleva
Centro internazionale Primo Levi
Se si prova a digitare su Google le tre parole "Primo Levi ebreo",
dopo la voce di Wikipedia, e dopo un sito scolastico sud-tirolese in
tedesco e italiano che riporta la poesia Shemà posta in epigrafe a Se questo è un uomo,si trova il sito di "LIBRE. Associazione di idee" (che nel suo Chi siamo si
definisce «Network creativo indipendente nato a Torino nel 2003»). Vi
appare una pagina dedicata al conflitto israelo-palestinese, che si apre
con una frase virgolettata:
«Ognuno è ebreo di qualcuno.Oggi i palestinesi sono gli ebrei di Israele». (Primo Levi, 1969).
Nei primi dieci risultati, che costituiscono la pagina iniziale di
Google in risposta alla ricerca effettuata con le tre parole “Primo Levi
ebreo”, questa frase compare altre due volte: in un sito di aforismi,
citata come «aforisma di Primo Levi» (scorrendo gli altri aforismi
riportati, colpisce anche un «Tutti coloro che dimenticano il passato
sono condannati a riviverlo»), e in un altro sito più militante,
«Guerrilla radio», che va per le spicce associando la frase attribuita a
Levi a una vignetta che rappresenta un palestinese nelle vesti di un
prigioniero di lager nazista, con tanto di mezzaluna cucita sul petto al
posto della stella di David; nel sito si parla di «atti nazisti a
Gaza». Nelle pagine successive della ricerca Google, la frase attribuita
a Levi comparirà in media una-due volte per ogni dieci risultati.
Ora, Primo Levi ha scritto realmente la prima parte della frase: la si legge nel romanzo Se non ora quando? comparso nel 1982 (non quindi nel 1969), ma in tutt'altro contesto.
– Preghi, ebreo? – gli chiese: ma in
bocca a Edek la parola “ebreo” non aveva veleno. Perché? Perché ognuno è
l’ebreo di qualcuno, perché i polacchi sono gli ebrei dei tedeschi e
dei russi. Perché Edek è un uomo mite che ha imparato a combattere; ha
scelto come me ed è mio fratello, anche se lui è polacco e ha studiato, e
io sono un russo di villaggio e un orologiaio ebreo.
[Primo Levi, Se non ora, quando? (edizione originale: Einaudi, Torino 1982), in Opere, a cura di Marco Belpoliti, Einaudi, Torino 1997, vol. II, p. 427].
A formulare la frase è Mendel l’orologiaio, uno dei protagonisti del
romanzo e voce narrante interna alla storia. Come si può vedere, qui
Mendel parla in prima persona: sta ricostruendo in forma di discorso
indiretto libero – tecnica narrativa che ricorre continuamente in questo
romanzo di Levi – i pensieri del compagno partigiano Edek, tenente
dell’Armata Interna polacca.
Il risultato di questa breve verifica ci dice che Primo Levi ha
effettivamente detto, affidandosi ai pensieri di un suo “personaggio
narrante” (è questo il ruolo di Mendel in Se non ora, quando?),
che «ognuno è l’ebreo di qualcuno». Non ha però definito i palestinesi,
nelle sue opere e nelle sue conversazioni raccolte in volume, come «gli
ebrei di Israele».
Come si sia prodotta, come abbia circolato, e soprattutto quanta e
quale credibilità si sia conquistata la frase nella sua nuova, apocrifa
formulazione è un interrogativo non banale, che ci richiede di mettere a
confronto dinamiche antiche e recentissime della comunicazione.Tre sono
i meccanismi che possono aiutarci a spiegare, senza dover pensare a una
falsificazione in mala fede.
1. Le voci che corrono
Il primo meccanismo è antico, potente e
apparentemente semplice: quello delle voci. Un esempio, lontanissimo dal
nostro tema, ma eloquente: all'inizio degli anni Ottanta, in California
si diffuse la voce secondo cui nei punti vendita McDonald’s si
spacciavano come carne di manzo degli hamburger fatti in realtà di
lombrichi; un rumor che,come sempre succede in questi
casi,veniva di volta in volta attribuito a varie autorità ma di cui
tutti garantivano l'autenticità. Ricostruendone il percorso (è
difficile, ma qualche volta ci si riesce) si scoprì che qualche mese
prima la rivista «Reader's Digest» aveva pubblicato un servizio su un business all'epoca
in crescita, la coltura di vermi a fini di alimentazione animale;
nell'articolo compariva la frase «vengono preparati degli impasti di
foglie d'insalata che per i lombrichi sono appetitosi come gli
hamburger». A una scorsa superficiale, l'associazione
lombrichi-hamburger poteva declinarsi in un senso differente, cosicché
la frase poteva assumere un significato plausibile per chi si fosse
formato, come tanti, un pregiudizio verso la catena McDonald’s, allora
al culmine della sua espansione. Il resto,come sempre accade nel gioco
delle voci,si sarebbe poi aggiunto man mano che la diceria circolava:
per renderla più interessante, più credibile, per valorizzarla come
informazione "di prima mano", fino a un «so per certo [da mio cugino che
ci lavora, da un servizio della TV, da un dirigente della catena] che
negli hamburger non mettono carne ma…indovina cosa?», fino alla
disgustosa rivelazione finale.
Per la "frase di Primo Levi"si può ipotizzare che sia stato all'opera un meccanismo analogo:
-a) appropriarsi di un dato reale (la
prima metà della frase: «ognuno è l’ebreo di qualcuno»), rielaborandolo
sulla base di un'opinione pre-esistente: l'equazione i palestinesi di oggi nei territori occupati dallo Stato di Israele = gli ebrei sotto il nazismo è un luogo comune radicato da tempo nel campo anti-israeliano;
-b) cercare di dare ulteriore credibilità
alla frase con una datazione (1969) che probabilmente nasce da
un'associazione mentale: è dopo il 1967, anno in cui si svolge la
«Guerra dei sei giorni», che la sinistra europea, in precedenza solo
sporadicamente attenta alle vicende medio-orientali e in gran parte
filo-israeliana, "scoprì" la questione palestinese. Ed è tra il 1968 e
il 1970, anno del «settembre nero» in Giordania, che cominciarono a
circolare anche in Italia pubblicazioni come La lotta del popolo palestinese o Versi di fuoco e di sangue dei poeti arabi della resistenza.
Ècomprensibile che la "presa di posizione" (apocrifa) di Primo Levi sul
tema venga associata a quel passaggio storico, e che quest'associazione
tra un testo manipolato e una serie di eventi storici reali venga
intarsiata nella memoria collettiva come un falso ricordo;
-c)
riproduzione della frase, che con la tecnica del copia-e-incolla si
moltiplica da una citazione all'altra diffondendosi grazie al
passaparola via web.
Come si vede, non c'è bisogno di
ipotizzare una manipolazione intenzionale (che pure non è da escludere,
ma non necessariamente da parte dei siti citati: delle “voci che
corrono” si sanno tante cose, ma non si sa praticamente mai da chi siano
partite); la frase apocrifa può essere frutto di una catena di
comportamenti, certo non caratterizzati da particolare accuratezza, ma
neppure da esplicita mala fede.
2. Copia-e-incolla
A differenza delle voci, che sono una
forma di comunicazione prevalentemente orale – sia pure spesso
amplificata dai mezzi di comunicazione di massa, quando questi le
riprendono e più o meno esplicitamente le ridiffondono – qui siamo di
fronte a una forma di comunicazione scritta, dunque dotata di una
maggiore credibilità intrinseca, anche perché comunemente si suppone che
l'atto stesso dello scrivere comporti una maggiore attenzione critica
rispetto alla ripetizione di un “sentito dire” nel corso di una
conversazione. Si tratta, in realtà, di un'illusione.
Chiunque si sia occupato di temi storici,
geografici ecc. trattati nelle enciclopedie, sa bene quanto sia
frequente che un errore, magari nato da un lapsus, si ripeta da
un'enciclopedia all'altra, transitando identico da fonte a fonte e
finendo talvolta per incorporarsi a strumenti di consultazione che hanno
fama di grande attendibilità. Questo fenomeno è ovviamente ancora più
diffuso in operazioni compilative non professionali, come sono nella
loro maggioranza le tesi di laurea. Il meccanismo stesso della
compilazione, spesso frettoloso e remunerato poco o nulla, favorisce le
scorciatoie e il copia-e-incolla; pensare che l'autorità di ogni singola
enciclopedia sia direttamente proporzionale alla cura con cui vengono
prodotte le sue "voci" (sì, il termine è lo stesso anche se il senso è
diverso) è in generale ottimistico, e comunque, se può essere vero per
le voci più importanti, difficilmente lo è per quella stragrande
maggioranza di lemmi che sono indispensabili, ma ai quali si possono
dedicare poche risorse, di tempo e di competenza.
Se teniamo conto di questo meccanismo,
possiamo capire anche un dato che a prima vista potrà sorprendere: il
fatto che una frase apocrifa venga riprodotta non solo in siti
"militanti", ma anche in siti di cultura generale come quello – citato
al principio del testo – dedicato alle liste di aforismi. Èovvio che i
siti militanti hanno tutto l’interesse a credere vera una frase del
genere, e poi ad adottarla e diffonderla, perché essa sembra confermare
le loro convinzioni dotandole di un'autorità alta e "imparziale":
l’autorità non solo di un ebreo, ma di un testimone-simbolo delle
sofferenze del popolo ebraico. Quanto ai siti di cultura generale, essi
si affidano a citazioni di citazioni, e così via riprendendo e
riportando: difficilmente viene svolta una ricerca originale, con tanto
di controllo diretto sulle fonti.
3. Le dinamiche del web
A questi meccanismi, per i quali è
possibile trovare precedenti nel passato prossimo e remoto, ne vanno
aggiunti altri, più tipici del nostro tempo in quanto direttamente
legati al web. Prima di tutto la dinamica della comunicazione che si
svolge in rete ha la forma della scrittura e la rapidità
della conversazione: favorisce (anche in termini di "leggerezza" e
relativa irresponsabilità) le scorciatoie e il sentito dire più o meno
come nel passaparola orale, ma al tempo stesso attribuisce una
credibilità superiore all'informazione che circola. In secondo luogo, la
rete offre la possibilità di costruire, con mezzi relativamente scarsi,
una presentazione strutturata e persuasiva. In molti dei siti che
abbiamo potuto vedere non ci si limita a citare una frase: viene
costruita una galleria di aforismi di autore, con tanto di fotografia, e
con un impianto grafico riconoscibile ed efficace; oppure, viene
proposta un'intera pagina sul tema «Israele come i nazisti di oggi», nel
cui contesto la frase apocrifa di Primo Levi assume il valore pressoché
rituale di un'epigrafe. Agiscono infine tre ulteriori meccanismi propri
di Internet:
- la tendenza della rete a favorire le
prese di posizione e le contrapposizioni nette di contro alle
argomentazioni più articolate: basti vedere i commenti a un qualsiasi post
di qualsiasi genere, nei siti dei quotidiani come in YouTube o nelle
pagine che stiamo esaminando. Avviene così che una citazione considerata
efficace, sempre utile come arma di confronto in qualsiasi forma di
scrittura, acquista qui un peso ancora più decisivo;
- il fatto che a essere valorizzata non è
tanto la lettura o la visione/ascolto quanto la rielaborazione attiva
di quello che si legge, il ri-montaggio, la ri-contestualizzazione, la
produzione (a partire dal materiale esistente) di contenuti parzialmente
nuovi, siano essi video (magari nati da brani pre-esistenti di film e
da musiche selezionate: è ancora il caso di YouTube), o testi-collage,
per cui quello che nel mondo della parola stampata si presenta come un
falso dichiarato, nella rete entra a far parte di una sorta di grande
area intermedia tra la produzione autonoma di testi e la citazione vera e
propria: basterà ricordare che la parola "copiare", che ha goduto di
una pessima fama da circa un secolo e mezzo a questa parte, ha assunto
nella civiltà della Rete un significato molto più neutrale;
- infine, ma non da ultimo, la logica
propria di Google, che favorisce ricerche quasi istantanee, sulla base
però di un meccanismo fondamentalmente poco affidabile: un mix tra
la pura casualità e le pressioni di chi, per scopi commerciali o
propagandistici,usa tecniche finalizzate a rendere visibili i propri
siti nelle primissime pagine della ricerca, e perciò mette in
circolazione rapidissima informazioni che non sono state sottoposte a
nessun controllo.
Da questo intreccio di tecniche e
intenzioni comunicative emerge una frase che, a sentire l’autorevole
parere di chi ne conosce a fondo tutta l’opera, Primo Levi non ha scritto, ma che sul web finisce per diventare, agli occhi di molti, la sua “citazione” più nota.