Razzisti non si nasce, ma si diventa
(solo dopo i 14 anni)
Lo studio americano sui bambini: non vi è alcuna differenza nel cervello quando si incontrano persone diverse
di
MILANO
– Non nasciamo razzisti, né lo diventiamo nei nostri primi anni di
vita. Anzi, da piccoli, davanti a persone dal colore della pelle diverso
dal nostro, non abbiamo alcun sussulto, emozionale o razionale, e
tantomeno avvertiamo paura, timore, rabbia o aggressività. A dimostrare
che il razzismo non è nella nostra natura infantile ha lavorato un team
di ricercatori in neuroscienze della University of California, sede di
Los Angeles: come è accaduto in passato per studi di questo genere, ha
usato lo strumento della risonanza magnetica per verificare quali
cambiamenti intervenivano nell’area cerebrale di chi si è sottoposto al
test. Questa ricerca si inserisce nel dibattito, molto acceso e datato,
sulle origini del razzismo che negli anni ha visto confrontarsi almeno
due teorie opposte: la prima che legava questo sentimento alla
socializzazione, la seconda che invece tendeva a mostrare come la
xenofobia sia innata in ognuno di noi.
BAMBINI DEL MONDO – E proprio a convertire questo secondo pensiero – che il razzismo sia dentro di noi – arriva la ricerca di Eva Telzer e di 3 colleghi della Ucla, appena pubblicata sul Journal of Cognitive Neuroscience.
L’analisi ha riguardato 32 bambini americani, tra i 4 e i 16 anni di
età. Tra loro variavano le origini razziali: ve ne erano con antenati
europei, asiatici, africani. I giovani sono stati sottoposti a imaging a
risonanza magnetica (MRI) nel momento in cui visionavano un catalogo
fotografico, composto da immagini di persone dal colore della pelle
uguale e poi differente dal loro.
NESSUN SUSSULTO – Davanti alle
foto di persone diverse da sé, i bambini non hanno mostrato attività
cerebrali diverse rispetto al normale. E questo è avvenuto per tutti i
bambini, fino all’età dei 14 anni. In particolare, è stato analizzato il
comportamento dell’amigdala, quell’area del cervello che fa da centro
di integrazione ai processi neurologici superiori come le emozioni, per
esempio regolando la paura. Nei casi analizzati dai ricercatori
americani, questa parte cerebrale non subiva modifiche. Mentre in
passato, altre ricerche sulla popolazione adulta avevano mostrato come i
pazienti sottoposti a risonanza magnetica avessero sussulti e modifiche
percettibili della stessa amigdala, motivo che aveva spinto a collegare
il sentimento xenofobo alle proprie innate peculiarità personali.
DOPO I 14 – Dalla ricerca
emergono comunque due dati interessanti: il primo è che dopo i 14 anni
di età, invece, proprio come è avvenuto nelle ricerche passate sulla
popolazione adulta, qualche variazione della amigdala esiste davanti al
«diverso da sé», e la seconda è che, da questa età in avanti, cambiano
completamente le reazioni a seconda della propria origine razziale e
geografica. Infatti, i giovani che provenivano da famiglie miste, o con
antenati di altre etnie, non mostravano alcun segno di razzismo (inteso
proprio come il riconoscere qualcosa di altro da sé), mentre per chi
proveniva da una razza precisa, senza incroci con etnie di altri Paesi,
il vedere foto anche di persone dalle stesse origini causava un
sentimento o un’emozione registrata dalla amigdala.
tratto da Corriere.it
19 ottobre 2012