venerdì 24 luglio 2009

"Buco da ceci" nella Città Vecchia


Il tardo pomeriggio, quando il sole è ancora alto, ma il suo calore stemperato da un venticello fresco e la sua luce fa assumere un colore dorato alle pietre di cui sono costituite le facciate di tutte le case della città: questo è il momento ideale per andare nella Gerusalemme Vecchia. Così ci ha suggerito il nostro amico Uri, madre italiana e padre israeliano, che di mestiere fa la guida turistica e che di luoghi e suggestioni se ne intende, così, quindi, decidiamo di fare!
Da Gerusalemme Ovest, dove abitiamo noi, prendiamo Rechov Yafo, una delle arterie principali della città nuova; prima di arrivare alla Porta di Jaffa, da cui la via stessa ha preso il nome, attraversiamo il Mamilla, una sorta di nuovissimo centro commerciale all’aperto dove si susseguono negozi e punti di ristoro alla moda, circondato da giardini, bellissime case, alberghi lussuosi. Inaugurato recentemente, è costruito su un’area considerata centro del commercio tra Ebrei e Arabi già all’inizio del XIX secolo e rimasta abbandonata dal 1948 fino alla fine della Guerra dei sei giorni dal momento che qui passava il confine tra la porzione israeliana e quella giordana della città.
Una volta arrivati alla Porta di Jaffa o Bab al-Khalil, in arabo porta dell’amico (accanto ad ognuna delle otto porte una targa menziona il nome in ebraico, quello in arabo e in inglese; così come succede per ogni via della città), decidiamo di costeggiare le mura volute da Solimano il Magnifico intorno alla metà del 1500 e di entrare dalla Porta di Damasco. Questo è considerato uno dei varchi più belli ed è effettivamente affascinante, imponente e affollato. Superata la porta ci troviamo immersi in uno shuk (mercato) brulicante di gente affaccendata nella spesa quotidiana, in un vociare chiassoso, in un odore di spezie e di cibo persistenti, che si dipana lungo due vie principali e una miriade di cunicoli: siamo nella parte araba. Infatti, così come Gerusalemme è divisa in Gerusalemme Ovest (o Nuova o Centro) la parte prettamente ebraica, Gerusalemme Est, la parte musulmana, e Gerusalemme Vecchia, quest’ultima a sua volta è suddivisa in quattro quartieri: musulmano, cristiano, armeno ed ebraico.
Procediamo con il naso per aria cercando di evitare i carretti carichi fino all’inverosimile di merci spinti da poco più che bambini giù per le stradine in discesa e frenati nella loro corsa solo da un copertone che strisciando per terra fa attrito e le donne anziane sedute a terra nei rientri delle viuzze a vendere frutta ed erbe. Seduti accanto porte dei loro negozi, i proprietari ci invitano ad entrare, sciorinando saluti nelle più importanti lingue europee; dagli ingressi di improbabili bar ci offrono profumatissime spremute di frutta e te con foglie di menta.
È difficile distinguere le indicazioni attaccate alle antichissime volte tra le tante insegne colorate e confusionarie che riportano i nomi dei negozi, dei venditori o delle loro merci. Perdersi è un attimo. Seguiamo la strada finché sono proprio le merci esposte nelle vetrine e nei cesti esterni ai negozietti ad indicarci che in realtà abbiamo cambiato quartiere: le spezie, gli abiti finemente lavorati e i prodotti in cuoio hanno lasciato il posto a rami d’ulivo, icone e oggetti sacri: siamo entrati nella parte cristiana. Ci sediamo sui gradini del piccolo cortile da cui si accede alla Basilica del Santo Sepolcro, qui Uri ci spiega velocemente com’è strutturato uno dei luoghi più importanti per almeno venti confessioni cristiane: all’interno di quella che esteriormente si presenta come una chiesa di modesta bellezza sono racchiusi il luogo identificato come Golgota, dove Gesù fu crocifisso, la pietra dell’unzione, dove fu posto in attesa della sepoltura e la pietra tombale dove infine fu sepolto. La basilica, continua Uri, fu fatta costruire circa 320 anni dopo la morte di Cristo da Elena, madre dell’imperatore Costantino, su quella che era una collina in un’area non ancora compresa nel perimetro della città. Nel corso dei secoli la struttura è stata oggetto di numerose distruzioni e ricostruzioni e oggi appare, più o meno, come la ristrutturarono i Crociati nel 50° anniversario della presa della città (1149). La prima cosa che intravvediamo in mezzo alle gambe della gente che ci precede all’ingresso, non appena gli occhi si abituano all’oscurità, è la pietra dell’unzione. Alcune donne, inginocchiate, ne baciano la superficie resa liscia dal tocco di milioni di visitatori. Saliamo i gradini consunti che portano al Golgota, una fila ordinata aspetta di poter toccare il luogo in cui fu conficcata la croce. Riscendiamo per andare a vedere, almeno esternamente, l’edicola costruita attorno alla tomba: se volessimo entrare dovremmo stare qui in fila fino a notte, quando la famiglia musulmana che tiene le chiavi della Basilica verrà a chiudere le porte. Usciamo, con la voglia di tornare in questo luogo in un altro momento, magari di mattina molto presto quando il flusso dei fedeli, ma soprattutto quello dei curiosi, è meno intenso. Percorriamo al contrario alcune stazioni della Via Dolorosa, all’altezza della V Uri ha una sorpresa per noi: siamo nuovamente nella parte musulmana e di fronte a noi si apre il miglior “buco da ceci” della città, non possiamo dire di no ad un pasto a base di humus (purea di ceci e sesamo).
fpunto@hotmail.it
(Continua)

2 commenti:

  1. grande hummus, il condimento preferito da zohan...

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  2. anche da me, avresti dovuto provare come ci stava bene l'hummus con i wrustellini dell'altro giorno!!!

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