giovedì 30 luglio 2009

segue dall'articolo del 23





All’uscita dal “ristorante”, dopo esserci fatti dare qualche altra informazione, ci separiamo: Uri deve rientrare a Tel Aviv e noi riprendiamo il nostro girovagare. Sono quasi le sette e mezzo quando lasciamo nuovamente la parte musulmana. Qui la notte arriva presto: tra un’ora al massimo farà buio e i negozi cominciano a chiudere. Un paio di vecchi trattori percorrono le stradine in salita schiacciando i turisti contro le vetrine, sono gli unici mezzi che riescono a muoversi in questa porzione di città e raccolgono i rifiuti accumulati all’esterno dei negozi. Riattraversiamo veloci il quartiere cristiano ed entriamo nel più piccolo dei settori, quello armeno. I negozi sono ora più radi, mentre trovano spazio numerosi laboratori artigianali, in particolare di ceramiche; le strade si sono fatte silenziose.
In numerosi manifesti affissi sui muri davanti alla Cattedrale di San Giacomo è disegnata una mappa dell’Armenia e la descrizione, in ebraico e in inglese, del genocidio degli Armeni del 1915. Purtroppo non c’è nessuno a cui chiedere maggiori spiegazioni e anche la Cattedrale, a quest’ora, è già chiusa. Da quello che ci ha detto Uri durante la cena sappiamo che, anche se non molto numerosa, la comunità armena è una presenza costante a Gerusalemme già dal IV secolo e, nel tempo, ha costituito una sorta di microcosmo stretto attorno al complesso monastico di cui San Giacomo è il fulcro.
Proseguiamo lungo Ararat street ed entriamo nel quartiere ebraico, una targa in ceramica sul muro ci dà il benvenuto e ci ricorda che l’intero quartiere è stato sottoposto a ristrutturazione e ricostruzione a partire dal 1967. A differenza di quelli che abbiamo visto fino ad ora, questo è un quartiere prettamente residenziale, le strade sono più ampie e soprattutto più pulite, le costruzioni tutte in pietra chiara che a quest’ora riflette il rosa e l’oro del sole al tramonto. La nostra meta è il Muro del Pianto, chiediamo indicazioni ad alcuni ragazzi che chiacchierano animatamente di fronte ad una pizzeria. Ci consigliano di attraversare il Cardo che, dicono, merita di essere visto e di accedere al Muro dalla scalinata sovrastata da una copia della grande menorah d’oro scomparsa secoli fa. Il Cardo romano, in parte originale, in parte ricostruito, è un tratto di strada pavimentato con grosse pietre e affiancato da portici, oggi punteggiati di negozio di souvenir e oggetti tradizionali ebraici. Mentre passiamo davanti ad un negozio di vini, un signore con un forte accento americano insiste per farci assaggiare un bicchiere di Sangiovese della Galilea…
Il luccichio della Cupola della Roccia ci suggerisce che stiamo andando nella direzione giusta, pochi passi ancora e il Muro del Pianto si manifesta sotto di noi. Ci fermiamo un momento: davanti abbiamo il Monte del Tempio, forse il luogo più sacro al mondo. Qui venne eretto il Primo Tempio ebraico all’interno del quale Salomone pose l’Arca dell’Alleanza, qui Abramo arrivò quasi a sacrificare Isacco per dimostrare la sua fede a Dio, sempre qui nel 515 a.C. venne eretto il Secondo Tempio distrutto poi dai Romani nel 70; è qui che Maometto guidò altri profeti in preghiera durante uno straordinario viaggio notturno dalla Mecca rendendo sacro anche ai musulmani questo luogo ed è qui che oggi sorge la Spianata delle Moschee da cui nell’autunno del 2000 è scoppiata la seconda Intifada. Ai piedi del monte uomini e donne ebrei rivolgono le loro preghiere contro ciò che rimane del muro occidentale che Erode fece costruire a vana protezione del Secondo Tempio e che prende il nome di “Muro del Pianto” proprio qui perché gli ebrei venivano a piangere la distruzione di ciò che avevano di più sacro.
Scendiamo i gradini che ci separano dal Muro, passiamo i controlli di sicurezza e ci immettiamo in una piazza gremita di gente. Una ragazza ci rincorre blaterando qualcosa che non capiamo e mi porge un pezzo di stoffa azzurro: mi devo coprire le spalle, la mia maglietta a maniche corte non è considerata sufficientemente decorosa; all’occorrenza lo stesso pezzo di stoffa può essere legato in vita e allungare una gonna troppo corta. Ci separiamo per poterci avvicinare al muro: le donne pregano sulla destra, gli uomini sulla sinistra, in una porzione di muro molto più grande, tutti oscillano ritmicamente con il viso immerso in un libro. Tra le grosse pietre che compongono il Muro qualcuno lascia un bigliettino con una preghiera. Ci allontaniamo camminando a ritroso, senza voltare le spalle al Muro.
Ci avviamo verso la Porta di Jaffa, percorrendo quello che, secondo i nostri calcoli, una volta era il Dacumano. Riattraversiamo il Mamilla ora tutto illuminato. Nella piazzetta che si apre tra i negozi sono state poste delle transenne a delimitare uno spazio: è incredibile, ma all’interno attempate signore, impegnatissimi signori e goffi soldati stanno ballando in cerchio! Chiediamo spiegazioni a una coppia che come noi guarda i ballerini dalle transenne. Molto gentilmente la signora ci spiega che quello che stanno ballando giovani e vecchi insieme è la Hora e che ogni lunedì sera chi vuole si reca lì a ballare questa e altre danze tradizionali ebraiche… Israele è anche questo.
fpunto@hotmail.it

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